L’OSSERVAZIONE NEL DOCUMENTARIO

PERCHÉ È IMPORTANTE TRASCORRERE DEI GIORNI DENTRO AD UN AMBIENTE PRIMA DI RACCONTARLO? 

Diversamente dal processo proprio dei film di finzione, il lavoro di pura osservazione è maggiormente caratteristico nel genere documentario, in quanto rappresenta un contatto diretto con persone e luoghi reali, che non dovranno interpretare un ruolo ma raccontare la propria storia e rendere la troupe partecipe di parte del proprio vissuto. Non si tratta di un semplice “sopralluogo”.

Il regista ha un forte debito rispetto alla verità, ma il tentativo di raccontarla non equivale alla rinuncia del proprio sguardo. L'oggettività completa è impossibile, e in effetti anche indesiderabile; non solo la figura registica, ma chiunque di noi - nella vita di tutti i giorni - adotta involontariamente una prospettiva piena di pregiudizi e preconcetti perché inevitabilmente si forma un’idea. Se il regista però decidesse di seguire del tutto questa idea, quella pre formatasi rischierebbe di creare un racconto interamente filtrato da sé, vuoto di quella parte di verità fondamentale: quella del protagonista, di chi si racconta. Per questo motivo è importante conoscere ma, al contempo, avviare una selezione tra le tante cose osservate e conosciute nel tempo.

Nel documentario è fondamentale stabilire un dialogo, mantenere degli equilibri, entrare in punta di piedi e consentire alle persone coinvolte di riporre fiducia gli uni negli altri. E una tale apertura può avvenire inizialmente senza il filtro- a volte ostacolo-  di una camera nel mezzo.

A differenza di un film di finzione spesso il documentario prevede una troupe sempre molto ridotta. Questa scelta non è casuale, proprio perché permette il coinvolgimento di tutti i componenti nel processo di osservazione e scambio con i protagonisti. Evitare quindi figure molto specifiche, come quelle presenti in un grosso set, che badino esclusivamente alla parte puramente tecnica, consente di essere disposti ad accogliere umanamente l’atmosfera che si ha davanti. Ciò non significa impiegare maestranze prive di competenze tecniche, ma investire su persone dotate di profonda curiosità, qualità imprescindibile da possedere che garantisce un genuino interesse nella storia e nelle persone coinvolte.


Che benefici comporta ritagliarsi un periodo per osservare?

Nel momento in cui si decide di partire per realizzare un film è possibile andare ad osservare sia i luoghi che le persone coinvolti. In entrambi i casi è importante stabilire un legame. Un legame spontaneo avvia una riflessione che si libera dalla visione mediata dalla macchina da presa e dai propri preconcetti, e che regala alla troupe la possibilità di entrare in contatto profondamente sia con un luogo fisico - che sia una foresta, un monastero, una casa, un paese intero -, sia con le persone.

Così, osservare e ascoltare senza pensare alle riprese, senza pensare al film stesso, offre un'occasione molto più ampia di maggiore comprensione e apertura. Sarebbe quasi necessario poter avere a disposizione lunghi periodi in cui si possa non pensare al film, dunque. E addirittura, ma forse parliamo di utopia, se gli stessi protagonisti non sapessero inizialmente del film. Quando non è possibile un’osservazione così estrema è necessario sicuramente trovare una via di mezzo.

In definitiva, vorremmo e proviamo spesso ad approcciarsi ai nostri protagonisti e luoghi non in quanto 'la regista', 'il DOP', 'la producer', ma in quanto umani prima di tutto.

Cosa accade quando la troupe resta ad osservare?

La troupe ricava un doppio beneficio da questa fase: non solo crea un legame con i protagonisti della storia, ma approfondisce e consolida una dinamica interna al team stesso. Il senso di gruppo, le relazioni costruttive e propositive che si tessono nel tempo, così, vanno oltre il mero ambito lavorativo, prescindendo dalla pura fase filmica che inizia con "Azione!" e termina con "Stop!".

Durante i giorni di osservazione persino il semplice momento dei pasti condivisi è parte di questa fase, aiuta a cementare la coesione della squadra.


Come reagisce la persona/ protagonista coinvolta al processo di osservazione?

Chi mette a disposizione la propria storia non è un attore professionista, e non possiede quindi una chiara e concreta conoscenza o percezione di quello che costituisce il lavoro della troupe (che, dal canto suo, non è nemmeno facile da spiegare!). Non è semplice, infatti, far capire perché possono servire ore per preparare una sola inquadratura, o motivare la pazienza nella ripetizione di una stessa azione più di una volta.

Gli attori non professionisti, dunque, vivranno a loro volta delle situazioni che possono farli stupire, spazientire, stancare, e perché no anche arrabbiarsi, commuoversi, e provare forti emozioni generate proprio dalla dinamica (a loro sconosciuta) del set.

Per questo motivo, parte ingente del lavoro della troupe è la capacità di saper leggere le situazioni, rispettando le persone, le loro reazioni emotive e i loro tempi, al contempo però riuscendo a raccontare al meglio la storia in oggetto. Idealmente, lasciando il set di un film documentario, speriamo sempre che i nostri protagonisti non si riferiscano a noi come "quella troupe che una volta è venuta a fare delle riprese", ma che l'esperienza rimanga a livello umano: "abbiamo fatto un film assieme".

Osservare sarebbe l’unico modo per poi andare a realizzare un film documentario?

A volte non si ha la possibilità di trascorrere un tot di giorni con le persone e i luoghi che saranno parte del film. Ciò accade perché un documentario richiede anche un importante lavoro di pre produzione che vede un lato puramente economico e logistico sostanzioso. Nel caso in cui si hanno già a disposizione dei fondi- o, ancora meglio, se la location del film risulta comoda da raggiungere, se i protagonisti del film saranno disposti all’accoglienza- si avrà sicuramente la possibilità di concedersi dei giorni per guardare con i propri occhi e vivere quelle persone e quei luoghi. In caso contrario sarà molto utile procedere anticipatamente con delle ricerche e uno studio approfondito, in modo da conoscere indirettamente chi e cosa si andrà a raccontare. Si avrà in tal caso un “rapporto unilaterale” , privo di scambio ma in ogni caso molto utile. Come avviene questo? Cercando la storia, documentandosi, studiando le fonti. 

Esiste quindi:

  • l’osservazione diretta, attraverso la conoscenza dei protagonisti e dei luoghi che saranno parte del film o attraverso le voci di chi ha conosciuto quel determinato protagonista.

  • l’osservazione indiretta attraverso la ricerca e lo studio delle fonti a disposizione.

Sono entrambi dei processi efficaci. Spesso quest’ultima precede la prima, a volte invece i due processi procedono autonomamente per ogni progetto, ciò dipende dai termini produttivi. Anche quando non si ha la possibilità di dedicare più giorni all’osservazione diretta anche solo trascorrere qualche ora senza la camera può rivelarsi utile.

Come si fa a capire quando il processo di osservazione è concluso e si può iniziare a girare? Il rischio non è quello di essere talmente saturi di visione da andare a svalutare il lavoro successivo o di aspettare troppo prima di prendere la camera?

La voglia di scrivere la luce e realizzare delle belle immagini tende sempre a prevalere in chi fa documentario però, come già detto, è fondamentale in un primo momento lasciare la camera in un angolo. Tra l’osservazione e la realizzazione del film le dinamiche sono molto diverse per cui il rischio di sentirsi saturi è molto basso. Arriva un momento in cui la troupe sente il bisogno di scrivere con la camera e memorizzare ciò che ha visto. Dipende dal contesto nel quale ci si trova.

Non esiste un momento in cui l’osservazione e lo scambio finisce, realmente continua anche durante le riprese.


Perché l’osservazione è importante?

Osservare significa guardare, apprendere, avviare anche dei “conflitti”, in forma di scambio di opinioni, con i protagonisti delle storie, vivere la loro quotidianità. Conoscere consente al regista e al resto della troupe di rispettare i tempi di tutte le persone coinvolte nel momento in cui si inizierà a girare, raccontare poi con delicatezza e profondità al contempo le varie storie.

Tutto questo come si concretizza?

Sfrutteremo i prossimi articoli per parlarvi di due particolari esperienze sul campo, per noi in corso d’opera. Stiamo attualmente scrivendo due film documentari molto esplicativi di ciò di cui abbiamo parlato fino ad ora: uno si basa su un processo di pura osservazione in loco, in tal caso assai disteso nel tempo per necessità produttive, non concentrato in un unico periodo; il secondo sfrutta invece una lunga fase di ricerca, studio delle fonti e scrittura. Si parlerà quindi, attraverso due esempi concreti, dei due tipi differenti di osservazione che abbiamo trattato.

Pietro Cestari