IL DOCUMENTARIO ATTRAVERSO VEIL

“Come mai avete scelto di raccontare delle storie con il documentario invece che realizzando dei film di finzione?”

Esistono vari modi di raccontare la verità di una storia. Vi sono dei casi in cui questa può essere narrata con testimonianze reali, sfiorando i luoghi nei quali si è effettivamente svolta; altri in cui, costruendo una trama, un contesto e sfruttando un’interpretazione attoriale, è possibile rendere al meglio la realtà di un racconto che altrimenti non sarebbe possibile conoscere.

Non abbiamo quindi “scelto” di raccontare delle storie attraverso il documentario ma questo tipo di narrazione avrebbe dato, a nostro parere, molto più valore a quelle storie specifiche.

Qualche anno fa abbiamo iniziato a viaggiare per il mondo, a contatto con persone e luoghi, esperienze uniche e meravigliose. La cosa bella e strana dei giorni vissuti tra tanti differenti mondi e culture è che, a posteriori, il ricordo che rimane è la forza di ogni vita e di ogni racconto delle persone incontrate lungo il percorso. Ma ciò che esiste dietro è molto più grande ed inizia molto tempo prima della partenza. 

Sembra quasi un controsenso dover parlare di pre-produzione quando si vorrebbe partire per raccontare di verità forti. Eppure anche il documentario richiede una vera e propria organizzazione che può iniziare mesi o, addirittura, anni prima della effettiva realizzazione.

Quali sono le differenze, in questo caso, con il film di finzione? 

Non volendo scendere in dettagli che riguardano la produzione (magari dedicheremo poi un articolo a questo), si potrebbe però accennare al fatto che il documentario, a differenza della fiction, ha dietro le quinte un’organizzazione molto aperta all’imprevisto e che non richiede un copione: dal punto di vista contenutistico un autore/regista avrà la possibilità di proporre un’idea sotto forma di soggetto e, successivamente organizzare una scaletta per le riprese. Vi è però la probabilità che sul campo questa dovrà essere ridotta, ampliata o del tutto rivisitata. Dal punto di vista logistico il producer avrà la possibilità di organizzare preventivamente ogni spostamento con la consapevolezza che potrebbe doverlo rivedere di giorno in giorno, in fase di realizzazione del film.

Abbiamo deciso di raccontarvi molto concretamente alcuni di questi passaggi recuperando, come esempio, la storia del nostro ultimo documentario: Veil. 

Veil è stato realizzato nel 2020, la sua distribuzione è iniziata alla fine del 2021 e l’idea di questo film è nata nel 2019. Ciò significa che dal momento dell’ideazione al primo giorno di riprese è trascorso quasi un anno. Si tratta di un iter più che normale.

Raccoglie mesi impiegati per la scrittura di un soggetto; la ricerca delle storie, delle persone, dei luoghi e il consenso da parte di questi; l’organizzazione della troupe e della logistica. Si trattava, in tal caso, di un’idea di partenza- il racconto del concetto di libertà attraverso la storia di un convento di clausura- che richiedeva la ricerca di un contesto che ben avrebbe rappresentato questa idea. Un’alternativa di documentario è la ricerca di una storia o di un’insieme di storie specifiche, non partendo da un’idea generale. Ciò richiederebbe un iter differente.

Il film è stato realizzato in Italia e con un budget assai ridotto, questo ha consentito di ridurre al minimo le tempistiche di pre-produzione.

Poco prima della partenza è stata stilata una scaletta interna, con qualche appunto tecnico, che ben rappresenta il nostro modo di far documentario. Ad una prima visione di Veil è possibile rendersi conto che soltanto parte di queste indicazioni è stata “rispettata”. Vi sono sicuramente alcune “regole” imprescindibili ma nel momento in cui si decide di raccontare la verità di una storia il confronto quotidiano e reale tra la regia e la troupe- ma soprattutto tra la troupe e le protagoniste- determina delle scelte differenti di giorno in giorno, al di fuori di ogni schema.

Per una maggiore comprensione si riporta, di seguito, qualche frammento di questa scaletta:

Sarà importante per la troupe stabilire un legame fisico e reale, in loco. Le prime giornate saranno dedicate alla pura osservazione e soltanto dal secondo giorno inoltrato sarà possibile prendere in mano la camera ed avviare le riprese con delle coperture. L'unica organizzazione che potrà avvenire a distanza riguarderà logistica.

Il primo giorno e mezzo di osservazione comporterà:

  1. Un incontro con Suor Patrizia (la referente) per definire e concordare al meglio lo svolgimento delle varie giornate e i permessi di ciò che ci è e non ci è consentito fare.

  2. Un sopralluogo degli spazi concordati che sarà possibile riprendere e dove avremo la possibilità di ambientare le varie scene.

  3. Un confronto con la protagonista per conoscerla e stabilire con lei un legame di fiducia, comprendere insieme le attività che essa svolge in modo da inserirsi pienamente nello spirito della sua vita e delle sue giornate. Il secondo giorno sarà probabilmente dedicato ad una mera osservazione della protagonista, a partire dal risveglio.

  4. A seguito dell'attenta osservazione la troupe si riunirà per tirare le somme e costruire bene, dal punto di vista del contenutistico tecnico, tutte le scene. Dal terzo giorno si avrà una scaletta.

Intervista/ Racconto

Non si avrà una classica intervista frontale della protagonista che racconta se stessa e il proprio vissuto davanti alla camera. Ciò che si vedrà sarà invece il suo volto accompagnato da una voce sempre fuori campo, in modo che l'atteggiamento dello sguardo sia estremamente potenziato e mai eccessivamente letterale. Ciò che vedrà e sentirà lo spettatore non saranno due elementi “visivamente” connessi ma separati allo sguardo e al contempo in simbiosi, visto che questi sarà costretto a seguirli attraverso i due sensi ben distinti. Più che di un'intervista si tratterà di un racconto, di una narrazione, di una storia.

LATO VISIVO: si vedrà una lenta carrellata in avvicinamento al volto della protagonista, a partire da un MPP fino ad uno stretto close up.

LATO UDITIVO: il VO accompagnerà lo sguardo della donna alternato a delle coperture, di tanto in tanto.

Vi saranno delle domande guida ma, tendenzialmente, in base al momento, al contesto e alle sensazioni della protagonista si capirà man mano in che direzione andare. Non verranno mai dettate delle parole e lei sarà libera di articolare il discorso focalizzandosi però sul centro, senza mai divagare esageratamente.

All'intervista sarà dedicata una giornata intera più un'altra mezza giornata (non in ordine), in modo da aiutare la protagonista a prepararsi, abituarsi, organizzare il discorso oppure completarlo ed integrarlo a seguito di una pausa di riflessione. Si capirà insieme a lei come iniziare e come muoversi di conseguenza.

L’idea di un’intervista del genere è stata abbandonata a favore di un’inquadratura laterale, una camera posizionata di fianco alla protagonista e non frontale in modo che potesse rivolgersi direttamente alla regista che le faceva alcune domande, in forma di chiacchiera e confronto tra le differenti esperienze di vita. Se la camera fosse stata frontale forse questa umanità avrebbe avuto difficoltà a fuoriuscire. Ma non è sempre così, dipende dalla persona. A Suor Anna sembrava un’idea alquanto “stupida” quella di tenere lo sguardo fisso davanti ad una camera per così tanto tempo e solo in un secondo momento iniziare a parlare. Forse, avendola conosciuta, non aveva tutti i torti. Spesso è importante lasciare da parte un’idea più artistica a favore della possibilità che il protagonista possa esprimere se stesso pienamente. Inoltre non è stata dedicata al racconto una giornata intera più un’altra mezza giornata- tempistiche fondamentali per noi e per Suor Anna in termini di preparazione, data la delicatezza di questa fase- ma soltanto un paio di ore in quanto la protagonista aveva deciso di dedicarci solo quella fascia di tempo e opporsi a questa scelta sarebbe stato controproducente ai fini della buona riuscita del racconto.

In termini di editing il film sarà un crescendo verso l'esterno per poi ritornare all'interno, alla scena finale dell'inginocchiarsi della protagonista di fronte al crocifisso. Partendo dalle grate, che separano il mondo delle sorelle di clausura dal “nostro”, si arriverà al mondo esterno dove sorge il convento. La protagonista uscirà gradualmente fino ad un'immagine finale, un campo lunghissimo, dove la vedremo figura impercettibile al centro del paesaggio, insieme al convento rappresentativo del “suo” mondo, “fabbrica” (secondo lei) dell'anima del cosmo che viviamo.

L'immagina finale, in chiusa, ritornerà all'interno, dentro una chiesa che vedremo per la prima volta in modo chiaro ed esplicito, in un'inquadratura larga che si restringerà pian piano, a chiudersi nuovamente verso la protagonista in ginocchio.

È qui che si muove la libertà di questa donna ed lì, in quel luogo, che si trova la chiave della sua essenza.

Suor Anna, la protagonista, ha imposto la volontà di non poter effettivamente uscire dal convento; non avrebbe avuto senso per la sua verità in quanto non è data loro la possibilità di andare fuori. Un’immagine del genere (la sua figura al centro del paesaggio davanti al convento) sarebbe stata per lei inaccettabile. Ai fini della narrazione quel concetto, quel finale, era però fondamentale e fortemente rappresentativo. L’unica alternativa sarebbe stata quella di far posizionare Suor Anna proprio sulla soglia della porta d’ingresso, ancora dentro al convento. Il compromesso è stato accettato. L’operatrice è andata a posizionarsi lontana rispetto alla struttura in modo che la figura di Anna fosse impercettibile rispetto al paesaggio. Solo in questa immagine finale sarà possibile vedere per la prima volta il contesto intorno alle mura del convento. Un’immagine ottenuta dopo giorni di confronto, sudata, meno forte rispetto all’idea iniziale ma importante per un racconto fedele al reale. 

E così sono trascorsi vari giorni in convento, lontani da tutto, tra costante osservazione, confronti, riprese e ancora osservazione e dialogo. 

E dopo le riprese? Cosa accade?

Si va in fase di editing e, una volta conclusa questa, inizia una delle fasi più delicate dell’intera realizzazione di un film documentario: la distribuzione.

Ma di tutto questo parleremo prossimamente!

Pietro Cestari